“The purpose of fashion is to give a little additional
gaiety to life".
“Lo scopo della moda è
aggiungere un piccolo tocco di gioia alla vita”.
Contemporanea
di Chanel e precorritrice di Dior e del suo New Look, Elizabeth Howes è
annoverata tra gli stilisti del cosiddetto “American style” ovvero la scuola
americana di stile che approderà alla corte dorata della Hollywood degli anni
’30.
Figlia
di una sostenitrice del metodo Montessori, sin da piccola fu spronata ad
esprimere il proprio estro creativo con oggetti realizzati a mano fino ad
arrivare a confezionare abiti inizialmente per sé stessa (all’età di 10 anni!)
ed in seguito anche su commissione.
Iniziò
una gavetta formativa a Parigi durante gli anni ’20 investendo in un biglietto
di terza classe e salpando con un amico sulle sponde della modaiola città
affacciata sulla Senna.
Qui
apprese i fondamenti dell’alta sartoria (tra cui il taglio bias che all’epoca
spopolava) passando dalla riproduzione di modelli esistenti per conto di atelier de robe minori, alla
realizzazione di nuove creazioni presso affermate case di moda, come quella che
le permise di collaborare con la sorella di Paul Poiret, Nicole Groult.
Da
lì la strada fu in ascesa con la nascita di due case di produzione di sua
proprietà che seguirono di pari passo le alterne fortune del lavoro come della
sua vita privata.
A partire dagli anni ’30 E.
Hawes in collaborazione con le colleghe Annette Simpson e Edith Reuss, realizzò
collezioni di abiti per spettacoli musicali on e off Broadway consolidando lo
‘stile americano’.
Spesso lo stile era audace
caratterizzato da forme geometriche e grandi stampe applicate a design semplici e confortevoli, con grande
attenzione riservata ai pantaloni da donna.
Un design particolarmente favorito
dalla Howes e che riscosse un notevole successo fu il cosiddetto
"Guardsman" ovvero un guanto scamosciato colorato che si abbottonava
sul dorso del polso.
Sempre in quegli anni iniziò la produzione di abiti pronti da poter vender a prezzi accessibili, avvicinando alle masse
l'alta moda e sostenendo il pronto moda quale sistema portante dell’industria
del fashion.
Più
che il suo contributo creativo, ciò che caratterizzò il percorso della Howes fu
il suo impegno a tutto tondo anche nella vita attraverso iniziative a scopo
umanitario.
Forse
troppo facilmente dimenticata o quantomeno poco omaggiata rispetto ad altri
suoi più celebri colleghi, Elizabeth Howes fu infatti non solo pioniera nella
moda ma anche molto attiva nel sociale.
Si battè per i diritti sociali spendendosi in iniziative benefiche a difesa
dell’integrazione multirazziale, a favore delle donne e del loro ruolo sempre
più in crescita nel maschilista mondo del lavoro nel ventennio tra le due
guerre.
Molte
furono le iniziative da lei promosse.
Durante
la 2° guerra mondiale si adoperò per la costruzione di centri per l’infanzia
per garantire l’educazione dei bambini durante il conflitto e realizzò un
modello funzionale di uniforme della croce rossa.
Per
dare un contributo attivo all’impegno bellico e comprendere a pieno le
condizioni di lavoro delle donne durante la guerra, lavorò come operaia in una
fabbrica di aerei militari.
Sollecitò
le donne a divenire “cittadini attivi” e a rivalutare il ruolo delle casalinghe
sostenendo che fosse diritto delle donne lavorare fuori casa pur continuando ad
occuparsi della casa, contrastando la routine hitleriana di
figli-cucina-chiesa.
Era
sua ferma convinzione che gli uomini dovessero lavorare insieme alle donne in
modo collaborativo nella gestione della casa e non vivere il lavoro della donna
come una minaccia al proprio posto di lavoro.
Dopo
la guerra fu un’attivista del sindacato dei lavoratori soprattutto a difesa dei
diritti delle donne lavoratrici e delle minoranza razziali.
Diede
il suo contributo spesso critico (non aveva peli sulla lingua!) al giornalismo
di moda facendo da corrispondente da Parigi per testate americane di ampia
diffusione popolare.
In
particolare, contribuì a smitizzare l’acclamato e sofisticato stile parigino -
all’epoca ritenuto il non plus ultra dell’eleganza e che si era tramandato da
generazioni fin già dall’epoca di sua nonna – sostenendo con forza come anche
lo stile americano meritasse un posto nell’illuminato Olimpo della moda e non
solo nel settore dell’abbigliamento sportivo.
Nel
suo libro “Fashion is spinach” esprime
un concetto non molto lontano da quello della sua coeva Chanel ovvero che “le
mode passano, lo stile resta”.
Quello
stile che per lei è indissolubilmente legato ad una funzione pratica
dell’indumento.
Con il suo approccio ironico e irriverente stimolava le donne a trovare un proprio stile personale
affrancandosi da quello dominante dettato dalla moda del momento.
La
sua attenzione si riversò anche sulla moda maschile. Notò infatti come gli uomini
non fossero oggetti di moda o solo marginalmente.
Memorabile
la sua illustrazione dell’accessorio eretto a simbolo della sua battaglia: le
bretelle da uomo, giudicate poco elastiche dagli stessi uomini poiché
realizzate con scomode chiusure in metallo, come emerse dalle numerose
interviste e sondaggi condotte dalla Howes su campioni da lei selezionati di
pubblico maschile.
Si
scagliò più genericamente contro il sistema moda, colpevole a suo dire di
produrre abiti ed accessori scomodi e a volte di scarsa qualità solo per
vendere, arricchendosi alle spalle dei consumatori.
Sostenne
la libertà di scegliere una più vasta gamma di colori e tessuti oltre quelli
proposti dal mainstream della moda.
Anche
se realizzava abiti su misura sosteneva il pronto moda perché vicino alle
tasche di tutti contribuendo all’introduzione del concetto di democratizzazione
della moda che fosse vicina a tutti..
Dopo
la guerra quando tornò in America fu boicottata dall’FBI – era tenuta sotto
controllo per le sue idee progressiste e pseudocomuniste – che contattò tutti i
suoi clienti per informarli delle sue attività antipatriottiche alludendo ad
una vicinanza con gli ambienti sovversivi comunisti ed antiamericani.
A
causa di ciò la sua attività fallì nel 1949. L’anno dopo si trasferì nelle
Isole Vergini e iniziò a lavorare come stilista freelance e scrittrice.
Pubblicò
un libro di critica nei confronti dei mass media che volevano riportare il
ruolo della donna a quello precedente il secondo conflitto mondiale, negando
secondo lei tutti i progressi che di fatto la donna aveva ottenuto durante il
periodo bellico nel mondo del lavoro.
Sferrò
inoltre un duro attacco al governo americano colpevole a suo dire di aver
innescato una spirale consumistica nella falsa illusione di una prosperità
economica del Paese.
Pubblicò
un aggiornamento di “Fashion is spinach”
con una critica se possibile ancora più severa del mondo della moda.
Scrisse
gli ultimi libri su temi razziali e problematiche sociali che ebbe modo di
osservare da vicino durante il suo soggiorno nelle Isole Vergini.
Nessun commento:
Posta un commento